
Dalla metà del ‘700 a oggi una notevole quantità di reperti archeologici è stata rinvenuta nel territorio di Sant’Angelo Muxaro. Scavi clandestini sono stati compiuti fin d’allora. Su questa illecita consuetudine scriveva, come già rilevato, nel 1932, l’archeologo Paolo Orsi: “I villani in passato, spinti dalla miseria e dalla speranza di fantastici tesori, ne avevano tumultuariamente frugato il maggior numero, traendone masse di vasellami e pochissimi bronzi, che essi barattavano sul mercato di Girgenti per poche lire, fin che il vecchio barone Giudice, collezionista fanatico e poco illuminato, e soventi volte truffato, comperò una quantità di siffatto materiale, che poi dovette, per intervento del prof. Gabrici, equamente dividere col Museo Nazionale di Palermo”.
Molti contadini, ancora un settantennio fa, possedevano a casa qualcosa di antico, che non sapevano la loro destinazione. Allora venivano spesso nel paese di Sant’Angelo Muro ambulanti che al grido di: “Oru vecchiu ca m’accattu”, (oro vecchio che mi compro) si appropriavano d’inestimabili reperti. C’è da supporre, a ragion veduta, che nelle abitazioni di questo comune vi siano oggi, celati all’occhio della legge, reperti antichi. Assieme ai vasi si vendevano oggetti d’oro che erano fusi per essere non più riconoscibili. Sarà stata questa la fine delle patere scomparse e di molti altri oggetti.
Gli antichi sigilli erano a timbro o a bottone, cilindrici, molto diffusi in Mesopotania, oppure a mandorla (amigdaloidi). Questi ultimi cominciarono a essere prodotti verso la fine del Minoico Medio (dal 1800 al 1550 come fissò Evans) e furono in voga fino all’epoca della catastrofe di Tera nel 1450 a. C. Da questa forma di sigillo derivò l’anello a sigillo con castone ovale che si diffuse in tutto il Minoico Tardo (1500 / 1100 a.C.) secondo Sinclair Hood.
Fu largamente adottato in Oriente e specialmente a Cipro. Tale forma rimane in uso in età submicenea e rivivrà nel VII secolo a.C. Alla fine del Minoico Medio si produssero sigilli con iscrizioni in scrittura geroglifica cretese e scrittura ieratica. Per scrivere si usava l’inchiostro o la vernice. In Egitto i sigilli assunsero forme di scarabei, mentre nella Valle dell’Indo si crearono sigilli a stampo in steatite. Gli anelli a sigillo rinvenuti a Sant’Angelo Muxaro sono tre. Raffigurano una vacca che allatta il vitellino, un lupo e un grifo. I primi due anelli sono il frutto della laboriosità di Paolo Orsi. La frenetica attività archeologica di questo grande archeologo si sposta dalla Sicilia Orientale e dal Sud d’Italia alla Sicilia occidentale, dando corso, nel 1931, ai lavori di scavo dei sepolcri del Colle Sant’ Angelo.
Un fortunato caso porta l’archeologo, in possesso di un grosso e pesantissimo anello di 45,9 grammi e con un castone di mm 36, recuperato nell’area di Monte Castello. Pietro Griffo ci informa:” Nei primi mesi del 1927, nel terreno pianeggiante tra q. 411 e la Montagna del Castello, dove l’Orsi segnalò un gruppo di sepolcri, fu rinvenuto un pesantissimo anello d’oro…”. Bernabò Brea, precisa che esso fu rinvenuto “da tombe a grotticella artificiale (IX-V sec. a.C.) “. Un contadino, Angelo Militello, nel 1927, si dice che abbia trovato casualmente l’anello.
L’anello raffigura, con un intaglio profondo, una vacca che allatta un vitellino. Un “soggetto, scrive l’Orsi, pieno di reminescenze, sia pur lontane, assieme alla forma dell’anello, submicenee (…). Giudicato da molti un falso, e dalla più alta competenza in fatto di oreficerie antiche, (… ) Io credetti opportuno assicurarlo, dopo minuziose inchieste, alle collezioni dello Stato”.
Gli anelli riesumati dalle tombe santangelesi sono realizzati con una tecnica che rivela una lavorazione in negativo, resa con profonda incisione, così predisposti per incidere il sigillo. Gli anelli, sia quello che rappresenta una vacca che allatta il suo vitellino, sia l’altro che ritrae il lupo, come anche l’iconografia del grifo, pur non presentando quell’armonia di forme, come suggerirebbe una realizzazione greca, esprimono una certa agilità e direi vivacità. Il movimento delle masse si riscontra nelle forme che ritraggono l’atteggiamento del vitellino con il corpo flesso all’indietro per poi spingersi verso i capezzoli, come tipicamente fanno i piccoli di animali che si allattano. La stessa raffigurazione del lupo, sviluppata con contorni netti, che la fa sembrare come applicata sul fondo, è delineata da una solida massa anatomica nella parte frontale del corpo che si assottiglia nel ventre, imprimendo un’agilità e vivacità al soggetto.
Il lupo con le fauci spalancate, con gli artigli pronti a colpire e con la coda flessa in alto, sembra che inceda guardingo e con passo circospetto. Il pelo del collo e le tre costole rimarcate danno vivacità e realismo. Valori questi ultimi che non riscontriamo nella goffa schematizzazione del Grifo, sicché si suppone che gli ori di Sant’Angelo siano della stessa bottega ma da attribuire a mani diverse. Il rinvenimento dell’altro prezioso anello sigillo che rappresenta il lupo è opera dell’Orsi. La fortunata riesumazione si ha durante gli scavi delle tombe di Colle Sant’Angelo, fatti nel 1931.

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