
Dopo due anni rallentati dalla pandemia, in giugno si è ripreso a scavare a pieno ritmo e i risultati “sono andati molto oltre le aspettative”.
“Una conca vuota che impressiona per la sua ampiezza e il suo fitto mistero”, sorride il direttore del Parco archeologico di Selinunte, Felice Crescente.
L’idea di partenza era quella di riuscire a datare l’epoca di costruzione di due dei templi più recenti dell’acropoli, denominati A e O, a lungo ritenuti gemelli. Lo scavo ha dimostrato che A è stato costruito prima di O e che la costruzione di quest’ultimo è stata probabilmente interrotta per uno smottamento del terreno. La scoperta più importante però, è stata quella di una faglia d’acqua sotto le fondazioni del tempio A, un particolare, indica il professore, “che conferma l’ipotesi che i primi coloni greci si siano insediati proprio in questa porzione meridionale dell’Acropoli”. E’ qui, insomma, che nasce l’antica Selinus.
La miniatura in avorio con l’immagine di una sirena ritrovata in frammenti negli scavi di Selinunte e ricostruita. Viene dalla Grecia del VI sec. a C. Un’agorà di quasi 33 mila metri quadrati, la più grande del mondo antico, che torna a mostrare i suoi confini.
E poi ancora, sull’acropoli, i resti di quello che sembra essere stato il luogo sacro dei primissimi coloni greci di Selinunte, arrivati al seguito del fondatore Pammilo da Megara Hyblea.
Sempre qui, dentro il tempio R, che la terra ha restituito la parte mancante di una matrice in pietra (la prima era stata trovata dieci anni fa a breve distanza) servita per la fusione di un oggetto in bronzo, sembra uno scettro. Un oggetto così prezioso, ipotizzano oggi gli archeologi, da non dover essere replicato. Per questo subito dopo la fusione le matrici sarebbero state seppellite in due luoghi diversi.
Da quello stesso edificio, sono stati portati alla luce altri due pregiati oggetti, che nei prossimi giorni
verranno esposti nell’antiquarium del Parco. Trattasi di una statuina in miniatura raffinatissima di una sirena in avorio, ritrovata in frammenti nel 2017 e ricostruita in questi mesi in laboratorio. Una piccola meraviglia, sottolinea Marconi, quasi certamente importata dalla Grecia, che “racconta la ricchezza raggiunta dalla città nel VI secolo a.C”. Due secoli più tardi la fine per Selinunte sarà terribile, con la città messa a ferro e fuoco dai soldati di Annibale. Sepolta per secoli, la grandeur di quel secolo d’oro torna oggi a stupire.
Queste e tante altre le scoperte della campagna di scavi guidata da Clemente Marconi nel parco archeologico siciliano, un’impresa che ha visto lavorare insieme per la prima volta due missioni internazionali, quella dell’Institute of Fine Arts della New York University e dell’Università degli Studi di Milano con la squadra dell’Istituto Archeologico Germanico.

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