
Rivediamo quali sono le tappe che caratterizzano il rinvenimento di un reperto archeologico e la sua esposizione all’interno di un museo.
Analizziamo il caso delle pitture di Solunto esposte al Museo Salinas, iniziando dalla identificazione del sito archeologico, agli scavi che le hanno riportate alla luce, fino al momento finale della loro esposizione.
Ripercorriamo quindi brevemente la storia della città attraverso i suoi momenti principali; la prima notizia storica su Solunto è stata tramandata da uno storico ateniese chiamato Tucidide, il quale nel V secolo a.C. narrava che abitarono poi anche i Fenici le coste della Sicilia, avendo occupato i promontori sul mare e le isole vicine, a causa del commercio con i Siculi. Successivamente, quando poi gli Elleni vi giunsero via mare, lasciata la maggior parte dell’isola abitarono Motya e Soloenta e Panormo vicino agli Elimi avendole confederate, fidando dell’alleanza degli Elimi e perché da quel punto Cartagine dista dalla Sicilia pochissimi metri.
Invece, altri storici antichi, citano la città che dopo la fondazione da parte dei Fenici, ricadde sotto la sfera cartaginese, venne distrutta nel 396 a.C. da Dionisio I, un siracusano, ed alla fine della prima guerra punica nel 254 a.C. fu conquistata dai Romani.
Le testimonianze archeologiche del sito sono documentate fino al II secolo d.C. Da quel momento in poi la città sembra essere stata abbandonata e mai più abitata per le modifiche all’interno della politica economica della città di Roma.
E proprio le rovine di età ellenistico-romana di Solunto furono identificate per la prima volta nel ‘500 da Domenico Fazello, che durante il periodo dell’Umanesimo studiò le fonti antiche, cioè i testi scritti dagli storici , dei geografi, dei poeti greci e romani e riuscì attraverso un’analisi dettagliata e specifica, a riconoscere molte delle città antiche della Sicilia percorrendo l’isola.
Nella seconda metà del ‘700 il Principe di Torremuzza descrisse in una lettera sugli antichi reperti di Solunto la sua ascesa di quella deserta e scabrosa montagna, in cui riuscì ad identificare soltanto alcune delle rovine della città descritte da Fazello, intuendone però la maestosità.
Durante i primi anni dell’Ottocento in seguito a dei lavori agricoli effettuati nella zona, alcuni contadini ritrovano degli antichi manufatti che furono venduti al mercato antiquario.
Ma nel 1827 istituita la Commissione di Antichità, furono intrapresi gli scavi archeologici seguiti da esperti che riportarono alla luce l’imponente statua di Zeus. Da quell’esatto momente crebbe l’interesse per il sito archeologico e continuarono gli scavi che definirono l’impianto urbanistico della città; inoltre nel 1857 la scoperta di una epigrafe con la scritta RESPUBLICA SOLUNTINORUM confermò archeologicamente che il sito identificato da Fazello fosse l’antica città di Solunto.
Soltanto nel 1875, in seguito alla scoperta dell’edificio da cui provengono le pitture esposte oggi all’interno del Museo Salinas di Palermo, l’ingegnere Giovanni Salemi Pace descrisse le antiche vestigia. Allora, il Salemi Pace, fece il rilievo della casa e disegnò l’intera parete dipinta lasciando così ai posteri l’unica testimonianza dell’aspetto delle pitture al momento del ritrovamento.
L’importanza di questa scoperta archeologica fu così importante che si decise di staccare gli intonaci dipinti delle pareti della casa , meglio conservati, per poi trasferirli al Museo Salinas di Palermo. Da quel momento gli affreschi soluntini, che rappresentano il più importante esempio di pitture di II stile pompeiano esistente in sicilia durante il I secolo a.C.. vennero esposti in una delle sale del Museo Archeologico e a loro riguardo, Antonino Salinas disse, nel 1884, che queste pitture danno prova dell’abilità del pittore e del gusto dei Soluntini.
Recentemente, la necessità di restaurare queste uniche e preziosi testimonianze archeologiche, ha evidenziato delle problematiche. Infatti, il lavoro di pulitura dei pannelli ha riportato molti dubbi e posto domande sul colore di fondo delle specchiature su cui sono state dipinte le ghirlande ornate con bende ricamate e maschere teatrali.
L’archeologo, oltre al suo costante lavoro,con cui ha riportato alla luce il reperto, lo ha datato e classificato sulla base di dati tecnici , tra cui la tecnica pittorica e la tecnica della costruzione della casa, è stato affiancato dal lavoro del restauratore che invece ha rilevato lo stato di conservazione della pittura ed ha fornito le indicazioni sulle modalità di conservazione.
Oggi, grazie all’utilizzo degli strumenti tecnologici, la casa e l’ambiente con le pareti dipinte sono stati ricostruiti in tre dimensioni e si è resa così, virtualmente, visibile l’originaria collocazione delle pitture.

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