
Il Kouros, statua greca con funzione funeraria o votiva, raffigurante un giovane, era molto diffusa nel periodo arcaico e classico, tra il VII e il V secolo a.C.. Quello di cui si parla all’interno dell’articolo assembla il Kouros di Lentini, torso di efebo acefalo acquisito nel 1904 da Paolo Orsi e conservato nel Museo Archeologico Regionale di Siracusa che porta il suo nome, e la Testa Biscari rinvenuta nel Settecento da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari.
L’idea di ricongiungere le due parti scultoree in marmo pario voluta nel 2018 dall’allora Assessore ai Beni Culturali della Regione Sebastiano Tusa ha visto innanzitutto la Fondazione Sicilia promuovere l’intervento di restauro, presentato per la prima volta a Palermo nella sede di Palazzo Branciforte. Di seguito, la corale collaborazione tra tutte le istituzioni pubbliche e private coinvolte, pur avendo attraversato il periodo più acuto della crisi pandemica, ha consentito di esaltare in modo straordinario la valenza dell’intero progetto culturale. Il progetto di valorizzazione del Kouros, curato dallo stesso Sebastiano Tusa prima della prematura scomparsa, ha mirato a restituirne l’integrità, risolvendo la querelle che da anni impegna la comunità scientifica in supposizioni e ipotesi sull’effettiva pertinenza dei due reperti a unica statua di età arcaica. Tusa considerava il ricongiungimento un vero e proprio nuovo ritrovamento archeologico e così la statua continuerà a essere concepita come una realtà unitaria, non più come due distinti reperti conservati in musei diversi. Una nuova opera si aggiunge così alla statuaria della Sicilia greca: il Kouros di Leontinoi.
Imprescindibile presupposto per l’iniziativa di ricongiungimento sono state le indagini petrografiche e geochimiche promosse dall’associazione LapiS (Lapidei Siciliani) che già nel 2011 avevano rivelato che entrambi gli elementi sono ricavati da uno stesso blocco di marmo, prelevato nell’isola greca di Paros. Ulteriori approfondimenti diagnostici eseguiti durante il restauro dal prof. Lorenzo Lazzarini hanno dimostrato in maniera univoca che testa e collo del giovinetto appartengono alla stessa scultura.
La Sicilia non dispone di materiali lapidei paragonabili a un così pregevole marmo bianco a grana media, i blocchi di marmo pario venivano pertanto imbarcati nell’isola delle Cicladi per raggiungere i porti delle colonie siceliote dove li attendevano le botteghe di scultori dalle comuni radici culturali.
Per il ricongiungimento dei due reperti con sistemi reversibili si è utilizzato il foro già esistente alla base della testa, troncata nettamente nel Settecento, colmando “la brevissima lacuna” con una protesi in materiale plastico ad alta resistenza appositamente progettata e prototipata.
La rimozione dei depositi e delle incrostazioni che occultavano la tonalità della superficie marmorea della parte posteriore e dei fianchi del torso, riequilibrando le variazioni tonali permette di apprezzarne pienamente i valori materici del materiale costitutivo, quel marmo greco che viene ulteriormente enfatizzato da originali soluzioni illuminotecniche.

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