
Era la fortezza che controllava l’accesso alla valle d’Agrò: lungo il corso del torrente, posizionata sul versante nord. È un monastero fortificato, che esercitava funzione difensiva, con feritoie, finestre, merlature e tetto calpestabile. Anche i monaci erano attrezzati non solo con sai e sandali, ma soprattutto con armi e spade, proprio per la particolare condizione di isolamento del Monastero. È il migliore in stato di conservazione della provincia di Messina: caratterizzato dalla policromia della pietra lavica, basalto e pietra pomice nera leggera, pietra calcarea, e cotto, utilizzato in vario modo: in strati paralleli di taglio, a coltello e a dente di lupo, in modo da creare contrasti cromatici.
Considerata la datazione del restauro, avvenuto nel 1172, grazie al contributo dell’abate Gerasimo e dell’architetto Gerardo il Franco, il monastero costituisce il prototipo, l’antesignano di quello che sarà il grande patrimonio delle cattedrali normanne di Messina, Catania, Monreale e Cefalù. Il territorio era già frequentato in epoca romana, come testimoniato dal villaggio di Scifì, frazione di Forza d’Agrò.
Nella struttura della chiesa si ritrovano una serie di mattoni greci, mentre varie tesi sostengono che gran parte e dei materiali lapidei di spoglio, come ad esempio le colonne, siano provenienti dal Teatro Antico di Taormina.
Secondo la prima fonte documentale, un monaco di nome Gerasimo chiese al Re Ruggero II il permesso e l’aiuto economico per riedificare un monastero sito lungo la fiumara di Agrò, evidentemente distrutto durante l’invasione musulmana e probabilmente risalente al 560 d.C, anno in cui arrivarono in Sicilia i Padri Basiliani. Ruggero II accolse la richiesta del monaco ed elargì denaro e mezzi sufficienti per la ricostruzione del complesso nel 1117. Nel 1131 il monastero dei Santi Pietro e Paolo di Agrò è dichiarato suffraganeo del San Salvatore di Messina.
Il complesso molto probabilmente fu danneggiato dal terremoto del 1169 che interessò tutta la Sicilia orientale, e quindi fu sottoposto a restauro nel 1172 dall’architetto Gherardo il Franco, primo ed unico nome di architetto giunto da epoca normanna ai giorni nostri, come si apprende dall’iscrizione in greco posta sull’architrave della porta d’ingresso: «Fu rinnovato questo tempio dei SS. Apostoli Pietro e Paolo da Teostericto Abate di Taormina, a sue spese. Possa Iddio ricordarlo. Nell’anno 6680. Il capomastro Gherardo il Franco».
L’anno 6680 corrisponde nella cronologia greco-bizantina al 1172 in quanto gli anni si calcolavano dall’origine del mondo ovvero 5508 anni prima della venuta di Cristo. Da quel restauro la chiesa non subì altre modifiche ed è giunta a noi praticamente intatta, al contrario del circostante monastero di cui non rimangono che pochi resti. Il monastero, dove dimoravano i monaci di San Basilio, fu non soltanto un centro di potere religioso ma anche giudiziario e politico dal momento che l’abate era membro del Parlamento Siciliano. I monaci studiavano e insegnavano e possedevano una ricca biblioteca, di cui alcuni manoscritti e pergamene sono oggi conservate presso la Biblioteca Regionale Universitaria di Messina.
L’opera dei monaci venne a cessare nel 1794 quando i Basiliani abbandonarono la Valle d’Agrò per trasferirsi a Messina nel Convento dei Padri Domenicani di San Gerolamo, oggi non più esistente perché distrutto nel terremoto del 1908, che occupava l’area attuale dell’Isolato 197/A compresa tra la Via Primo Settembre e la Chiesa di Sant’Elia.
A prima vista, l’aspetto che colpisce di più è senza dubbio la spettacolare policromia delle facciate resa possibile dal sapiente alternarsi di mattoni in cotto, pietra lavica e pietra calcarea o arenaria, disposti in varie direzioni formando decori semplici ed eleganti ma allo stesso tempo unici. Un altro elemento decorativo è il motivo delle arcate intrecciate, che si susseguono su due ordini lungo l’intera superficie esterna dell’edificio. Le arcate dell’ordine inferiore sono tutte leggermente acute, mentre nelle arcate dell’ordine superiore, corrispondente ai muri della navata centrale, si osserva l’innesto di un arco a tutto sesto fra due archi leggermente acuti.
La chiesa è orientata, cioè con le absidi rivolte verso est come tutte le chiese medievali: l’orientamento delle chiese è determinato dal sole, che nasce ad oriente (Cristo=Luce) ed è un simbolo della Risurrezione e della seconda venuta. Dal XVI secolo questa caratteristica verrà sempre meno rispettata per le architetture di carattere sacro. Le tre absidi all’esterno si differenziano fra loro per dimensioni e forma. Le due laterali, infatti, si presentano più piccole rispetto a quella centrale, e hanno forma semicircolare, all’esterno così come all’interno, mentre l’abside centrale ha forma rettangolare all’esterno, pur mantenendo la semicircolarità interna. Questo elemento lo ritroviamo anche nella Chiesa dell’Annunziata dei Catalani di Messina, dove le absidi laterali si presentano rettangolari mentre quella centrale è semicircolare. L’abside di destra serviva da “diakònikon” ovvero uno spazio utilizzato per custodire i paramenti sacri e i messali, mentre l’abside di sinistra è chiamato “pròtesis” dove venivano preparate le offerte del pane e del vino per l’officiazione liturgica.
La chiesa si caratterizza per la presenza di due cupole, un tempo presumibilmente quattro, che sormontano la struttura. La prima copre la parte centrale della navata, è caratterizzata da otto spicchi visibili oltre che all’esterno, anche all’interno, ed è sopraelevata su di un alto tamburo. La seconda cupola copre la parte centrale del transetto e, similmente alla prima, è divisa in otto spicchi ed poggia su un tamburo ottogonale.

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